Milioni
di persone in tutto il mondo, ogni anno, celebrano la Pasqua, anche se
in modi diversi. Come sempre, personalmente rispetto qualunque idea o
credo religioso e non intendo criticare chi non la pensa come me.
Tuttavia, credo sia importante analizzare, da un punto di vista
strettamente biblico, quale sia il "significato" che la "Pasqua"
dovrebbe avere, non per i cristiani in generale, ma particolarmente per
noi che stiamo vivendo in questo periodo della storia.
La
Pasqua fu celebrata la prima volta, su indicazione di Dio stesso,
quando gli ebrei che vivevano in Egitto al tempo di Mosè si preparavano
ad essere liberati. Dio aveva mandato ben "nove" piaghe, o calamità, su
quella nazione ostile e, prima di mandare l'ultima e definitiva piaga,
che avrebbe sancito la fine della lunga schiavitù, comandò che il Suo
"popolo" celebrasse la Pasqua appunto, per ricordare il lieto "evento".
La parola "pasqua" deriva da un verbo ebraico che significa
letteralmente: "passare oltre", "risparmiare", con riferimento
all'angelo "sterminatore" che sarebbe "passato oltre" le case ebree
contrassegnate dal sangue di un agnello, risparmiando i loro occupanti
(Esodo 12:11-13).
Lo
scenario delle "dieci piaghe" prefigura, come abbiamo visto in
precedenza, in particolare, la serie di giudizi che i "due testimoni"
dell'Apocalisse pronunceranno contro "Babilonia la grande" per tre anni e
mezzo a partire dal 4 aprile prossimo (Apocalisse 11:3,6). Ma trova
anche corrispondenza profetica nella "grande tribolazione" che durerà
"sette anni", coinvolgendo soprattutto l' "infedele" Israele (Matteo
24:21). Proprio come le "piaghe d'Egitto" non coinvolsero direttamente
gli ebrei fedeli di allora, le moderne "piaghe", o calamità annunciate,
che cominceranno presto, non colpiranno in primo luogo gli ebrei fedeli e
tutti coloro che servono Dio fedelmente.
Ma
a cosa corrisponde oggi la "Pasqua" ebraica? L'apostolo Paolo spiega
che "Cristo" è "la nostra Pasqua", in quanto il suo corpo senza peccato
era prefigurato dal pane azzimo, o senza lievito, che si consumava
durante la festa (1 Corinti 5:7). Come rivelò Gesù stesso in occasione
della sua ultima Pasqua con gli apostoli, il "pane" e il "vino"
pasquali avrebbero rappresentato, da quel momento in poi, il suo "corpo"
e il suo "sangue" riservati per l'estremo sacrificio a favore di tutta
l'umanità (Matteo 26:26-28). In questo senso la "pasqua" ebraica, come
il resto della "legge" mosaica, era un' "ombra", o proiezione, di una
realtà piu grande, cioè Cristo (Colossesi 2:17; Ebrei 10:1). E, dal
momento in cui quella "realtà" è apparsa, non c'è stato più motivo di
continuare ad "osservare" l'"ombra". In altre parole, non è più
necessario, o vincolante, osservare particolari "giorni" per celebrare
determinate feste o ricorrenze, così come facevano gli antichi ebrei
(Galati 4:10).
In quella
famosa "ultima cena" di Pasqua, Gesù offrì il "pane" e il "vino" agli
apostoli con i quali avrebbe condiviso il regno celeste e comandò di
continuare a farlo "in memoria di" lui fino al suo "ritorno" per
giudicare il mondo intero e separare le "pecore" dai "capri" (1 Corinti
11:23-26; Matteo 25:31,32). Poiché per la "legge" di Mosè solo i
"sacerdoti" potevano partecipare ai "sacrifici" di "comunione", in virtù
della speciale relazione che avevano con Dio, è ragionevole concludere
che anche la "cena del Signore" sia riservata a coloro che saranno "re e
sacerdoti" del regno di Dio. Solo questi "santi", o "eletti", infatti,
partecipano al "corpo" e al "sangue di Cristo in un modo speciale,
vivendo una vita di "sacrificio" simile alla sua e ricevendo infine un
glorioso "corpo spirituale" esattamente come lui. Alla luce di quanto
detto prima, e dal momento che nelle Scritture non è indicata una data
precisa o un numero di volte prestabilito in cui celebrare la
"comunione", l' "ultima cena" non dev'essere per forza celebrata il
giorno della Pasqua ebraica, o in un altro giorno determinato, ma in
qualsiasi periodo dell'anno e tutte le volte che lo si desideri, ma
sempre in armonia con la volontà di Dio. L'apostolo Giovanni vide in
visione una "grande folla" di "ogni nazione, tribù, popolo, e lingua",
che veniva fuori dalla "grande tribolazione" sulla base della loro fede
nel "sangue dell'agnello", cioè nel sacrificio cruento di Gesù. Fra
questi ci saranno evidentemente, non solo persone di tutte le nazioni
che collaboreranno alla "restaurazione" di "Gerusalemme", divenendo
"sudditi" terreni del regno, ma anche quegli ebrei fedeli e altri che
saranno trovati idonei per "incontrare il Signore (Gesù) nell'aria",
allorché li eleverà su "tutti i suoi averi" come suoi "coeredi". La
profezia specifica che servono Dio "giorno e notte", ovvero regolarmente
e di continuo, e non solo in date specifiche, ricordando il sacrificio
di Cristo (Apocalisse 7:9-15).
Tutto
questo ci insegna che, proprio come l'antica Pasqua ebraica serviva a
ricordare a quegli ebrei fedeli che Dio li aveva "risparmiati" da quelle
piaghe, in virtù del "sangue dell'agnello", la nostra "Pasqua", il
Signore Gesù, ci ricorda che potremo essere "risparmiati" dal subire
fino in fondo i "giudizi" di Dio contro l'infedele Israele in virtù
della nostra fede nel suo sacrificio propiziatorio. Se siamo stati
"eletti" per il "regno", dovremmo continuare ad "annunciare la morte"
del Signore, celebrando regolarmente l' "ultima cena", finché non
tornerà, in un momento imprecisato dopo la fine della "settimana" di
anni che sta per iniziare. Ma anche se non abbiamo tale speranza,
dovremmo riflettere seriamente sull'immenso amore che Dio ha avuto per
noi, inviandoci Suo Figlio. Grazie alla sua morte di sacrificio potremo
presto essere liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. Il 4
aprile inizierà una nuova "stagione" di "miracoli" e noi potremmo
esserne testimoni e beneficiari! Ricordate le parole ispirate
dell'apostolo: "Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo
unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia
vita eterna" (Giovanni 3:16).
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