venerdì 29 marzo 2019

Cosa significa la "Pasqua" per voi?


Milioni di persone in tutto il mondo, ogni anno, celebrano la Pasqua, anche se in modi diversi. Come sempre, personalmente rispetto qualunque idea o credo religioso e non intendo criticare chi non la pensa come me. Tuttavia, credo sia importante analizzare, da un punto di vista strettamente biblico, quale sia il "significato" che la "Pasqua" dovrebbe avere, non per i cristiani in generale, ma particolarmente per noi che stiamo vivendo in questo periodo della storia. 

La Pasqua fu celebrata la prima volta, su indicazione di Dio stesso, quando gli ebrei che vivevano in Egitto al tempo di Mosè si preparavano ad essere liberati. Dio aveva mandato ben "nove" piaghe, o calamità, su quella nazione ostile e, prima di mandare l'ultima e definitiva piaga, che avrebbe sancito la fine della lunga schiavitù, comandò che il Suo "popolo" celebrasse la Pasqua appunto, per ricordare il lieto "evento". La parola  "pasqua" deriva da un verbo ebraico che significa letteralmente: "passare oltre", "risparmiare", con riferimento all'angelo "sterminatore" che sarebbe "passato oltre" le case ebree contrassegnate dal sangue di un agnello, risparmiando i loro occupanti (Esodo 12:11-13).

Lo scenario delle "dieci piaghe" prefigura, come abbiamo visto in precedenza, in particolare, la serie di giudizi che i "due testimoni" dell'Apocalisse pronunceranno contro "Babilonia la grande" per tre anni e mezzo a partire dal 4 aprile prossimo (Apocalisse 11:3,6). Ma trova anche corrispondenza profetica nella "grande tribolazione" che durerà "sette anni", coinvolgendo soprattutto l' "infedele"  Israele (Matteo 24:21). Proprio come le "piaghe d'Egitto" non coinvolsero direttamente gli ebrei fedeli di allora, le moderne "piaghe", o calamità annunciate, che cominceranno presto, non colpiranno in primo luogo gli ebrei fedeli e tutti coloro che servono Dio fedelmente. 

Ma a cosa corrisponde oggi la "Pasqua" ebraica? L'apostolo Paolo spiega che "Cristo" è "la nostra Pasqua", in quanto il suo corpo senza peccato era prefigurato dal pane azzimo, o senza lievito, che si consumava durante la festa (1 Corinti 5:7). Come rivelò Gesù stesso in occasione della sua ultima Pasqua con gli apostoli, il  "pane" e il "vino" pasquali avrebbero rappresentato, da quel momento in poi, il suo "corpo" e il suo "sangue" riservati per l'estremo sacrificio a favore di tutta l'umanità (Matteo 26:26-28). In questo senso la "pasqua" ebraica, come il resto della "legge" mosaica, era un' "ombra", o proiezione, di una realtà piu grande, cioè Cristo (Colossesi 2:17; Ebrei 10:1). E, dal momento in cui quella "realtà" è  apparsa, non c'è stato più motivo di continuare ad "osservare" l'"ombra". In altre parole, non è più necessario, o vincolante, osservare particolari "giorni" per celebrare determinate feste o ricorrenze, così come facevano gli antichi ebrei (Galati 4:10).

In quella famosa "ultima cena" di Pasqua, Gesù offrì il "pane" e il "vino" agli apostoli con i quali avrebbe condiviso il regno celeste e comandò di continuare a farlo "in memoria di" lui fino al suo "ritorno" per giudicare il mondo intero e separare le "pecore" dai "capri" (1 Corinti 11:23-26; Matteo 25:31,32). Poiché per la "legge" di Mosè solo i "sacerdoti" potevano partecipare ai "sacrifici" di "comunione", in virtù della speciale relazione che avevano con Dio, è ragionevole concludere che anche la "cena del Signore" sia riservata a coloro che saranno "re e sacerdoti" del regno di Dio. Solo questi "santi", o "eletti", infatti, partecipano al "corpo" e al "sangue di Cristo in un modo speciale, vivendo una vita di "sacrificio" simile alla sua e ricevendo infine un glorioso "corpo spirituale" esattamente come lui. Alla luce di quanto detto prima, e dal momento che nelle Scritture non è indicata una data precisa o un numero di volte prestabilito in cui celebrare la "comunione", l' "ultima cena" non dev'essere per forza celebrata il giorno della Pasqua ebraica, o in un altro giorno determinato, ma in qualsiasi periodo dell'anno e tutte le volte che lo si desideri, ma sempre in armonia con la volontà di Dio. L'apostolo Giovanni vide in visione una "grande folla" di "ogni nazione, tribù, popolo, e lingua", che veniva fuori dalla "grande tribolazione" sulla base della loro fede nel "sangue dell'agnello", cioè nel sacrificio cruento di Gesù. Fra questi ci saranno evidentemente, non solo persone di tutte le nazioni che collaboreranno alla "restaurazione" di "Gerusalemme", divenendo "sudditi" terreni del regno, ma anche quegli ebrei fedeli e altri che saranno trovati idonei per "incontrare il Signore (Gesù) nell'aria", allorché li eleverà su "tutti i suoi averi" come suoi "coeredi". La profezia specifica che servono Dio "giorno e notte", ovvero regolarmente e di continuo, e non solo in date specifiche, ricordando il sacrificio di Cristo (Apocalisse 7:9-15).

Tutto questo ci insegna che,  proprio come l'antica Pasqua ebraica serviva a ricordare a quegli ebrei fedeli che Dio li aveva "risparmiati" da quelle piaghe, in virtù del "sangue dell'agnello", la nostra "Pasqua", il Signore Gesù, ci ricorda che potremo essere "risparmiati" dal subire fino in fondo i "giudizi" di Dio contro l'infedele Israele in virtù della nostra fede nel suo sacrificio propiziatorio. Se siamo stati "eletti" per il "regno", dovremmo continuare ad "annunciare la morte" del Signore, celebrando regolarmente l' "ultima cena", finché non tornerà, in un momento imprecisato dopo la fine della "settimana" di anni che sta per iniziare. Ma anche se non abbiamo tale speranza, dovremmo riflettere seriamente sull'immenso amore che Dio ha avuto per noi, inviandoci Suo Figlio. Grazie alla sua morte di sacrificio potremo presto essere liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. Il 4 aprile inizierà una nuova "stagione" di "miracoli" e noi potremmo esserne testimoni e beneficiari! Ricordate le parole ispirate dell'apostolo: "Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16).

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